ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Olimpiadi, qui
Parigi, 1900
di Andrea Bentivegna
06/08/2016 - 02:00

di Andrea Bentivegna

Ad Atene, quattro anni prima, il successo fu clamoroso. L’idea di De Coubertin era vincente e la splendida cornice che aveva fatto da sfondo alla prima edizione aveva già reso i neonati Giochi Olimpici un evento di risonanza mondiale.

Fu allora che, avendoci evidentemente preso gusto, i greci proposero per voce di Re Giorgio che la loro capitale fosse designata ad ospitare tutte le edizioni future. De Coubertin, che voleva rendere la sua creatura un evento globale si dimostrò subito abbastanza freddo all’idea poi, nel 1897, lo scoppiò della guerra greco-ottomana che raffreddò provvidenzialmente questi propositi.

Si tornò a questo punto all’originaria idea di far coincidere i Giochi con l’Esposizione Universale e Parigi si stava apprestando ad ospitare quella del 1900. Sembrava dunque non ci potesse essere sede migliore.

Ma a questo punto qualcosa non andò come previsto. Innanzi tutto anche la Francia a quell’epoca era un paese piuttosto in fermento a causa delle tensioni prodotte dall'affaire Dreyfus quello del famoso ''J’Accuse..'' di Zola. In secondo luogo il fatto di disputare i Giochi durante l’Esposizione produsse diverse, inattese, conseguenze. La prima la durata: iniziarono infatti il 14 maggio per concludersi ''solo'' il 28 ottobre, un record. La seconda, più importante, fu che di Olimpiadi non si parlò mai e neppure gli atleti che vi partecipavano si resero mai conto di prendere parte ella seconda edizione dei Giochi.

In terzo luogo poi il Comitato Olimpico, che si aspettava un’organizzazione ancora più sontuosa di quella di quattro anni prima, dovette fare i conti con lo scarso impegno dei francesi che costruirono esclusivamente un stadio addirittura in legno a Vincennes. Niente a che vedere dunque con i marmi ateniesi di quattro anni prima.

La competizione in sé potremmo definirla a dir poco tragicomica, successe di tutto, tra episodi incredibili e discipline olimpiche al limite del folkloristico. Ad esempio in questa edizione fecero il loro esordio sport come l’avvincente Croquet, che attirerà sulle ''tribune'' ben uno spettatore e che quindi, comprensibilmente, non verrà mai più riproposto (a proposito per chi si chiedesse di che si tratti è quello giocato dalla Regina di Cuori in Alice nel Paese delle Meraviglie -ovviamente non con dei fenicotteri- ma con della banali mazze).

La stessa sorte poco benevola tocco ad altre discipline piuttosto curiose che si affacciarono qui per la prima alla ribalta olimpica come il tiro alla fune o il nuoto ad ostacoli. La prima non necessita di troppe mentre è certamente meno la seconda può sembrare piuttosto curiosa. Questa specialità, come le altre del nuoto, si svolgeva nella senna e prevedeva che si gareggiasse sui 200 metri ma, incredibilmente, ogni trenta metri gli atleti dovevano superare -scavalcandola- una fila di barche. Davvero un peccato non averla più vista.

Dal punto di vista strettamente sportivo questi giochi verranno ricordati per tre personaggi due dei quali erano americani, i grandi dominatori di questa edizione; Il primo, proveniente dalla Pennsylvania University, era Alvin Kraenzlein, velocista di origine tedesca, che qui ben quattro ori nel salto in lungo, nei 60 metri piani e nei 110 e 200 ostacoli, con una prestazione clamorosa degna delle più grandi leggende dello sport. Il secondo, da Lafayette, Indiana era Ray Ewry un ventisettenne che strabilio tutti nel salto triplo. Ciò che rendeva davvero speciale questo atleta erano due caratteristiche. La prima è che batte tutti saltando da fermo, senza rincorsa. La seconda, che rende il tutto ancora più sensazionale, è che il giovane era poliomielitico e aveva passato prima sulla sedia a rotelle e quindi a letto molti anni della sua infanzia quando i medici lo avevano dato ormai per spacciato. Si sbagliavano.

Ci sarebbe poi un terzo americano che avrebbe potuto completare questo terzetto di eroi olimpici e stiamo parlando Arthur Newton. Questo sfortunato atleta, in un afoso pomeriggio di luglio, circa a metà percorso della maratona, si portò al comando e staccò tutti con autorevolezza entrando per primo nello stadio esultante per l’impresa. Quando tagliò il traguardo tuttavia nessuno lo festeggiò e persino il pubblico non lo degnò nemmeno di un applauso.

Stravolto dalla fatica e disorientato fece per avvicinarsi al podio quando fu fermato dai giudici che gli chiesero dove stesse andando. ''Sul podio'', rispose. A quel punto lo guardarono pietosamente e gli confidarono che erano già arrivati prima di lui ben quattro atleti. Newton ne fu sconvolto, eppure -era certo- nessuno lo aveva superato. Quando salì sul podio il vincitore, guarda caso un francese di nome Theato, questi aveva il volto disteso e pulito; A quel punto l’americano capì che i quattro che lo avevano preceduto avevano tagliato il percorso. Lo ammetterà lo stesso Theato molti anni dopo ma Newton non comparirà mai nell’albo d’oro.

Un’edizione insomma assolutamente caotica e controversa quella del 1900 tanto che lo stesso De Coubertin scriverà nel suo diario: ''È un miracolo che l’olimpio sia sopravvissuto all’edizione di Parigi''.





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